Quando ti chiedono se vuoi salire e fare foto su un treno merci, con partenza all’alba e arrivo al mare, non puoi rifiutare. Puoi solo ringraziare, svegliarti in piena notte e andare allo scalo, e poi fotografare tutto quello che riesci.
Poca pressione, tanto divertimento
Quindi così ho fatto. Niente bici, stavolta, per cambiare. Come puoi immaginare, ero abbastanza nervoso, specialmente dopo aver pontificato su “trasformare i vincoli in chiavi narrative” prendendo come esempio Paul Fusco e il suo meraviglioso Funeral Train.

A differenza di Fusco, però, avevo il cuore leggero: nessun funerale di Stato da raccontare e nessun committente impaziente, solo una ventina di vagoni per un totale di un migliaio di tonnellate. Just fun. E poi ero gasato, insomma, un treno merci risveglia di brutto l’istinto del bambino che c’è in molti di noi. Ero anche contento di variare un po’ dal ciclismo, per sperimentare nuove cose; anche se la combinazione ciclismo+treno mi stuzzica da tempo.

I treni ed io: i precedenti
E’ la primissima volta che faccio foto in treno merci, ma non è la prima volta che mi abbandono al fascino delle ferrovie, anche grazie a incontri speciali. Il mio amico David, con cui ho diviso un breve ma intenso pezzo di vita a Pasadena, da ragazzo aveva lavorato sui treni della Santa Fe Railroad, che passava anche dalla sua città natale Topeka. Quando ho vissuto lì abbiamo viaggiato diverse volte in treno, verso il New Mexico e poi verso San Francisco. E’ stata un’esperienza dal sapore assolutamente far west, e alla stessa velocità media di quell’epoca.
Qui alcune foto, all’epoca avevo appena iniziato sia a fotografare sia a fare i lunghi in bici, approfittando della vita da scapolo di quel periodo.
Ho già parlato qui di Train/ing, un nome provvisorio per un progetto in corso che riguarda appunto la simbiosi tra bici e treni. Un paio d’anni fa, rovistando nell’archivio di foto, mi sono reso conto di avere numerose foto in treno. Da allora le metto da parte e ogni tanto le sfoglio, in attesa che venga fuori qualcosa di coerente.
In scalo: manovre e procedure
Torniamo a noi.
Non mi sono dato obiettivi particolari, se non quello di divertirmi e sperimentare. Ero sicuro di due piccole cose. Primo, volevo fare foto in treno merci, non di un treno merci; secondo, volevo continuare a esercitarmi con le doppie esposizioni (rigorosamente in camera, non su photoshop): mi hanno conquistato di recente vedendo le foto di uno shooting di ciclismo in un deposito treni di Los Angeles. Che coincidenze, eh?
La giornata inizia presto allo scalo, con alcune manovre e la preparazione logistica di rito, il tutto in un certo freddo. In questa fase posso gironzolare un pochino fuori dal convoglio, mentre il cielo si schiarisce poco a poco d’aurora.
Dopodiché la partenza vera e propria: verifiche, scartoffie, verifiche, comunicazioni, verifiche, infine si parte verso est, incontro al sole che fa capolino dietro l’orizzonte. Da quel momento restiamo in cabina, quel “quadrato” largo due metri e profondo un po’ meno. Ci sono due seggiole, una per il macchinista e una per il secondo; se si è in tre si fa a turno, ma stare in piedi mi costringe a muovermi e a cercare inquadrature diverse.
Da lì in poi cerco di scattare più dentro che fuori, ovviamente approfittando dei momenti in cui gli elementi del paesaggio e la luce dell’alba si combinano creando giochi di luce intriganti. Per diverse ore ho potuto esplorare i movimenti dei macchinisti, la loro routine di lavoro e alcuni imprevisti che hanno animato la giornata.
In viaggio: sobbalzando verso la meta
Sicuramente l’imprevisto più frequente è la fermata: i merci sono gli ultimi in fatto di precedenza, quindi ci si ferma spesso e volentieri per numerose ragioni. Non solo per lasciar passare qualsiasi altro treno, ma anche perché a destinazione sono finiti i binari, per questioni di rotazione del personale, per procedure doganali e così via. E’ un lavoro in movimento e al tempo stesso un lavoro di attesa. Si parte e ci si ferma, si parte e ci si ferma, di solito per un tempo ignoto. Se non si ha l’attitudine giusta, può diventare insopportabile. Sai quando parti, non quando arrivi.
Anche qui mi ricorda abbastanza la barca, in cui, dopo aver eseguito le lunghe procedure più o meno standard, si sta anche mezza giornata veleggiando nella stessa direzione. A quel punto si aspetta, verificando di tanto in tanto che tutto sia in ordine. E ci si guarda intorno e si chiacchiera, ingegnandosi per passare il tempo nel modo migliore possibile.
Ogni tanto ci si ferma così ha lungo che la cosa più facile è scendere: è la pausa caffè, che si vive con ancor più piacere quando arriva così di sorpresa, per circostanze che ci sfuggono. Scappa anche il tempo di shopping culinario per esplorare le specialità del luogo, ma di quello non c’è traccia nelle foto.
E poi tutto finisce, si arriva a destinazione molto più tardi del previsto ma molto prima che si abbia voglia di scendere. Si torna a casa- in treno, ovviamente, ma questa volta un banale regionale. I colleghi si riposano dopo il turno mentre inizio a selezionare e postprodurre.
E’ la prima volta che mi capita di fare foto in treno merci, ma speriamo speriamo che non sia l’ultima. Nel frattempo mi sono venute in mente inquadrature e prospettive da provare.

Foto in treno merci: il preset
Ho scattato in tutto 800 foto, con OM1.II e EM1.III e un assortimento di obiettivi: 7-14 2.8, 35-100 2.8, 17 1.2, 45 1.2. Ho volutamente lasciato a casa il 12-40 per costringermi a lavorare un po di più con le inquadrature.
Dopo aver selezionato le foto della giornata, ho rovistato tra i preset della mia raccolta per trovare un mood soddisfacente.
Il problema è che tra le foto in manovra e le foto in viaggio c’è, letteralmente, il giorno e la notte. Aggiungendo le foto in sosta, viene fuori una molteplicità di luci e ambienti diversi, troppo diversi per essere restituiti con soddisfazione da un’unica lavorazione (anche considerando gli aggiustamenti standard che merita ogni foto). Perciò ho diviso le foto in gruppi – esterno/interno, notte/giorno e così via – provando a trovare almeno un preset per ogni situazione. Alla fine ho trovato la quadra, modificando un vecchio preset di montagna. Anche così ho fatto notevoli aggiustamenti alle singole foto, aggiustando quasi sempre ombre/luci e bianchi/neri, e a volte il contrasto, la nitidezza e la chiarezza.
Prendo ispirazione da un caro amico, secondo cui le foto nel deposito fanno molto Bladerunner. E allora rain pact mi sembra un nome appropriato: è un preset dal sapore vecchiotto e polveroso, di quella polvere che solo la pioggia può lavare, riportando alla luce colori e texture coperte dal tempo.
(See vabbè, molla ‘sto preset). Eccolo
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
Il replicante, Blade Runner

Rain pact
E’ un preset abbastanza spinto. Come altri preset che faccio – vedi “winter disagio“, da un’escursione all’Alpe Bianca con Luigi – non è per cuori deboli. Invece di procedere per piccoli incrementi, preferisco dare una bella botta a una foto per vedere se quella direzione lì mi ispira; poi vado a ritroso temperando alcuni parametri, talvolta tutti, per non rendere la foto troppo caricaturale.
Se usi il preset, taggami sui social: sono curioso di vederlo su foto diverse! Intanto, ecco un po’ di prima/dopo:





