Affinità elettive, parte 2. Il micro 4/3 per il cicloreportage e il cicloturismo

Dopo aver parlato di quanto la bici giusta può aiutarci a scattare con fiducia, è ora di riflettere sul rovescio della medaglia: come l’attrezzatura fotografica azzeccata ci aiuta o ci penalizza quando vogliamo scattare in bici. Quindi parliamo del micro 4/3 per cicloreportage e il cicloturismo.

WARNING
questo articolo contiene frammenti di nerdaggine.

grazie mille a Luigi! Lumix GM1, gennaio 2025 @Gravelness69, Pogliano Milanese

Piccola premessa: tutte le macchine foto vanno bene. L’adagio recita “La miglior macchina foto è quella che hai in mano”, ed è abbastanza vero: la cosa veramente importante è che ci divertiamo a usarla, e che sia comoda per come la usiamo (ma su questo si può intervenire, vedi il capitolo “customizzazione” più giù oppure l’articolo dedicato).

Al di là di questo fattore soggettivo molto importante, ci sono alcuni criteri oggettivi che possono aiutarci a scegliere il materiale giusto. Quindi ecco, punto per punto, perché sono soddisfatto di questo sistema sia per lavorare sia per pedalare. Ci ho messo un pochino a organizzare le idee – circa 5 anni; sperando che non siano tutte scontate o banali, ecco qui il risultato di varie prove ed esperienze.


Stabilizzazione, per non stare mai fermi

Un po’ a sorpresa, partiamo da questa caratteristica non di grande impatto. Ma in realtà neanche tanto: mentre si pedala a 20kmh sulla ghiaia, la stabilizzazione serve eccome. Altrimenti le vibrazioni della mano/del mezzo che ci farebbero buttare tre quarti delle foto. E quindi meno male che quasi tutte le macchine foto moderne hanno una stabilizzazione più che soddisfacente. La vecchia regola del “doppio della focale”, cioè scattare minimo a 1/100 di secondo per una focale di 50mm, ormai è morta e sepolta. però, però,… C’è stabilizzazione e stabilizzazione: confrontandomi con tanti colleghi dai corredi variegati, sono emerse due considerazioni:

  1. primo, qualsiasi mirrorless stabilizzata consente di stare tranquilli con diversi stop extra di tempo di scatto.
  2. Secondo, in un’altra categoria c’è Olympus (ora OMsystem). Sarà che il sensore piccolo è fisicamente più facile da stabilizzare, sarà che gli ingegneri hanno trovato soluzioni incredibili, sarà un mix di tante cose; sta di fatto che la stabilizzazione OM è superlativa. Ai limiti del ridicolo. Per puro sport, ho fatto foto a 150mm (quindi equiv. 300 in 35mm) a 1 secondo a mano libera, con un successo quasi sicuro, diciamo 4 foto su 5. Questo con la recentissima OM1.II, ma anche con la EM1.III non si scherza affatto, ricordo di aver fatto – sempre per prova, non per necessità – scatti a 150mm a 1/4 senza problemi di sorta.

Inoltre ho scoperto di recente che la stabilizzazione non è sempre personalizzabile: o è attiva o è spenta (per es. la Fuji XT5). Invece le Olympus permettono di attivare separatamente la stabilizzazione verticale e orizzontale, il che è molto utile per fare i panning. Dettagli, certo, ma fino a un certo punto.

Em1 mkIII, 1/2 @12mm

Poi c’è tutto un discorso molto tecnico e complesso, che onestamente non ho afferrato fino in fondo, sulla differenza tra stabilizzazione della macchina e della lente. Sta di fatto che “più è meglio”, quindi i tantissimi stop di stabilizzazione della OM1 aumentano ulteriormente usando lenti come il 12-100 F4, che è stabilizzato di suo. E’ un overkill, non mi viene in mente neanche una situazione d’uso reale, ma si può.

Inoltre, l’abbondanza di stabilizzazione rende trascurabile il limite di compatibilità tra lenti e corpi OM/Lumix: è vero, si perde la doppia stabilizzazione, ma onestamente chissenefrega. Uso regolarmente il 35-100 2.8 Lumix sui vari corpi OM, e non ho mai percepito il limite della mancata doppia stabilizzazione; anche con quello ho scattato foto a 100mm a 1/16 (non per prova ma per necessità) senza problemi, lasciando lavorare l’IBIS della macchina e basta.

Less is more. Peso e ingombri

Guardare al grammo non è la cosa giusta se vuoi fare foto e divertirti a scattare, perché a quel punto prendi un cellulare e via. Ma se ti piace fotografare perché ti dà soddisfazione ragionare, provare, pacioccare, costruire… Allora ti tocca la macchina foto e allora sono chili, c’è poco da fare. Anche se la tecnologia moderna – mirrorless – permette pesi e ingombri minori, una fotocamera non è esattamente una barretta di cereali.

Anche qui, la scelta del formato è decisiva: il formato 35mm (cioè Full Frame o FF) necessita di obiettivi di una certa dimensione, mentre con sensori più piccoli (APSC, come Fuji, e micro4/3 come OM e LUmix) gli obiettivi possono essere più piccoli: è semplice fisica. Poi al vetro aggiungiamo la scocca, i motori AF; la differenza di peso si fa sentire, se parliamo a parità di specifiche tecniche.

Per fare un solo esempio, da una lastra di silicio si ricavano 24 sensori full frame, 80 in formato apsc e 244 m43. Cioè 10 volte tanto! Quindi è ovvio che i costi siano minori, e trascinino un po’ al ribasso pesi e ingombri degli altri componenti.

Quanti sensori da una lastra di silicio? Ecco i conti della serva.

Attenzione: la differenza di peso e di volumi non è tanto nei corpi macchina, che bene o male sono fatti per le nostre mani e si assomigliano molto (a parte le supercompatte del tipo Ricoh GR7, Canon Powershot, Sony Rx100 e via dicendo; ma lì è un discorso diverso). La differenza netta è tra gli obiettivi, e su questo c’è poco da fare: un 70-200 2.8 per full frame, nonostante le cure dimagranti delle versioni recenti, pesa circa 1kg, forse poco meno; il 35-100 2.8 Lumix è grande come una lattina di coca cola e pesa poco meno, 300 grammi. Sì è vero, la profondità di campo è equivalente a 5.6, ok. Ma comunque portatela tu una lente zoom di 1kg, io mi tengo la mia lattina di coca.

Facciamo un esempio pratico, cioè il mio kit da viaggio/lavoro, di cui ho già parlato altrove:

  • Om1mkII (600g inclusa batteria)
  • Zuiko 12-40 f2.8 (380g)
  • Lumix 35-100 f2.8 (360g)
  • tutto nel marsupio Evoc Hip Capture 7L (ora nuova versione che si chiama 6L, ma sembra identica), che pesa circa 600g (qui una recensione più dettagliata)
    • totale 2kg giusti per un corredo più che sufficiente.
  • Se voglio strafare, aggiungo il 17mm 1.2 (390g) per un tocco di classe.

Per paragone, ecco i pesi di un corredo Sony

  • Sony A7 III: 650g con batteria
  • Sony 24-70mm f/2.8 GM: 880g
  • Sony 70-200mm f/2.8 GM OSS: 1,500g (NB: esiste ora una versione II molto più leggera, poco più di 1kg; il lato negativo è che costa un po’ più di 3000 euro).
    • Totale 3.6kg senza marsupio; che comunque non basterebbe, quindi bisognerebbe capire come trasportare la seconda lente.

EVOC!

la recensione del marsupio fotografico

Il prezzo! Il grano, i bigliettoni, il cash!

Un vantaggio non secondario del “formato piccolo” (che poi tutto è relativo: il 35mm negli anni ’80 era snobbato come formato piccolo, come racconta Galen Rowell di cui ho parlato qui e parlerò ancora) è il prezzo: il sensore costa sensibilmente meno (interessante video sul prezzo del materiale, in particolare al minuto 4:30), ed è necessario meno vetro e meno metallo per costruire le lenti. Tutto questo finisce per incidere molto sul prezzo finale oltre che su peso e ingombri.

Per fare un esempio, i due obiettivi con cui ho iniziato a pedalare, i soliti 45mm 1.8 e 25 1.7, si trovano usati come nuovi a 100-200 euro a seconda dei momenti; pagai il 35-100 2.8 che uso per lavoro 550 euro, usato da esposizione. Ma anche andando sul nuovo di pacca, i prezzi sono ben diversi dai corredi full frame: a prezzo pieno, il 12-40 2.8 costa 950 euro; non è poco, ma è esattamente la metà dell’equivalente Canon, il RF 24-70 F2.8. In generale, la proporzione è quella.

In un’altra occasione magari parliamo di esempi pratici di corredo “primo approccio”. Qui siamo stati già abbastanza lunghi e abbiamo ancora tanto da vedere.


Tante lenti per tutt@

Ecco, il prossimo punto è la scelta delle lenti; qui ne parliamo in linea generale, giusto per orientarci meglio.

Il micro43 è un consorzio di cui Olympus (ora OMsystem) e Lumix sono i due marchi principali. La compatibilità tra i sistemi non è al 100% (ad esempio la stabilizzazione degli obiettivi non funziona sui corpi dell’altro marchio), ma di fatto non ci sono problemi a mischiare lenti e macchine foto in qualsiasi modo (come faccio con il 35-100 lumix su macchine OM).

  1. Il parco lenti Olympus è organizzato in tre categorie: linea normale, linea premium e linea PRO. Per ogni gamma ci sono obiettivi fissi e zoom, e il parco lenti è molto ampio.
  2. Le lenti Lumix sono altrettanto buone, e ci sono alcune vere chicche; diciamo che è complementare alle lenti OM, con lenti assolutamente uniche come la coppia 10-25 1.7 e 25-50 1.7, oltre all’amatissimo 35-100 2.8. (il 40-150 2.8 Olympus è fantastico, ma ingombrante per pedalare)
  3. Poi ci sono alcune lenti di terze parti, come Laowa o Voigtlander: validissime e compatibili al 99%, e spesso molto particolari, come grandangolari spinti o macro.

Restringiamo il cerchio alle lenti OM: la gamma base è più che dignitosa, ma la linea premium è quella che mette più in risalto le qualità delle macchine foto: sono obiettivi molto compatti e con una qualità molto alta, come i già citati 45mm e il 17mm 1.8 pesano entrambi 120g e sono ottimi.

Questa è la gamma delle lenti premium/PRO di Zuiko, che non include le lenti “base”

La linea PRO offre alcune caratteristiche essenziali per lavorare, ma non essenziali per un uso turistico: la messa a fuoco è molto più rapida, la tropicalizzazione è molto più solida (vedi dopo), c’è una ghiera per la messa a fuoco manuale e altre cose così. La qualità di immagine è pressoché invariata rispetto alle lenti corrispondenti della linea premium. In compenso, pesi e ingombri sono molto diversi, quindi bisogna scendere a qualche compromesso in più: se il 17 1.2 PRO è grosso quanto una lattina e pesa altrettanto, il 17 1.8 premium ha l’ingombro di una tazzina da caffè.

Da sinistra: Zuiko 45mm f1.8, Lumix 25mm 1.7, Lumix 35-100mm 2.8 II, lattina.


Impermeabilizzazione, tropicalizzazione, weather sealing o quello che è

Ho menzionato spesso l’importanza dell’impermeabilizzazione, che forse è sottovalutata. Eppure, siamo coerenti, suvvia: pianifichiamo avventure più o meno estreme, andiamo a cercare gli angolini più remoti, mettiamo i copertoni più robusti, compriamo le tende più impermeabili e i sacchi a pelo più caldi e leggeri: come possiamo privarci di una tropicalizzazione fatta bene per la macchina foto?

La tropicalizzazione è definita dallo standard IP, che dà un valore numerico alla resistenza alla pioggia e alla polvere, con due numeri separati; più alto significa più robusto, con precisi criteri. Per fare un paio di paragoni, la fascia cardio della decathlon è IP67, così come il Google Pixel 7a; il recente Pixel9 invece sale a IP68, uguale alla mia luce posteriore Moon Sirius. Molti cellulari hanno standard simili. per le macchine foto è un po’ più complicato, ma non meno importante.

In questo le Olympus/Om sono regine assolute (insieme ad alcuni modelli di Leica, ma vabbè, altra galassia): le recenti OM1, OM3 e OM5 sono tutte certificate IP53. Nessun’altra macchina offre questa dicitura. Anche le lenti della gamma premium sono IPX1: è sufficiente per la polvere, che fa comodo in molti casi. Certo, se poi smette di funzionare per la pioggia, vai a dimostrare che non è colpa tua e che l’hai usata nei limiti. Ma intanto c’è scritto nero su bianco.

Al di là delle diciture riportate sul manuale, ho ampiamente testato il materiale rispetto alla pioggia, al fango, alla terra, alla sabbia e al caldo (mi manca il gelo estremo, ho lavorato fino a -7/8 °C, non di meno), senza grossi problemi; in un’occasione, dopo 10h di pioggia battente, è entrata acqua in un 12-40 già parecchio sbattuto; L’ho asciugato nella silica ed è tornato come nuova (un enorme grazie a Davide per il suo tutorial). In un’altra occasione -diluvio di 3h e poi pioggia battente per due giorni – si è rotta la ghiera MF del 40-150 2.8 (che non ho mai usato in MF, quindi non è un grosso problema). Ma sono casi davvero estremi, e in altre occasioni – come la 150s-miles del 2023, il Turin Hills del 2025 e altre, dove abbiamo nuotato nel fango e arrancato nella pioggia – non ho avuto problemi di sorta.

C’è anche un aspetto tecnico che passa spesso inosservato, eppure è fondamentale: parliamo del sistema di pulizia del sensore. Di tanto in tanto mi capitava di sentire colleghi diventare pazzi a causa di pelucchi o granelli sul sensore, e cercare affannosamente pompette e panni. Non capivo di che parlavano. In che senso polvere sul sensore? Mi son preoccupato: cambiavo obiettivi nella sabbia, in bici, nel bosco, in città, in montagna, sotto gli alberi. Mi aspettavo di trovare un piccolo ecosistema intorno al sensore.

Invece la preoccupazione dei colleghi mi ha colto di sorpresa perché non ho mai avuto quel problema: la casa ha brevettato tempo fa un sistema autopulente che stacca tutte le impurità dal sensore: in pratica a ogni accensione il sensore vibra con una frequenza incredibilmente alta, ma è più complicato di così. Si chiama SSWF, supersonic wave filter, e funziona alla grande. Magari ci fosse anche la bici autopulente.

primo, costa poco. secondo, è piccola e leggera. terzo, costa poco. Quarto, è piccola e leggera. Insomma, ci siamo capiti. @Giorgio Roda.

Micro4/3, Alcuni paragoni

Ogni tanto la scimmia per altro materiale spunta con forza. Ecco alcuni esempi e le ragioni per cui, finora, mi sono trattenuto – ehm, quasi sempre.

  • Ricoh GR, Canon Powershot GX7, Sony Rx100 e altre della stessa categoria: Macchinette favolose, estremamente compatte e molto performanti. La tentazione è forte. PERO’ tutte hanno un problema grosso: attirano molta polvere sul sensore. Fine della storia.
ecco perché è importante avere materiale fotografico resistente. Turin Hills 2025

  • Campsnap: una bellissima macchina, molto economica e pensata bene. Che dico, ultraeconomica. Perché non ce l’ho? Semplicemente perché al momento sto provando due alternative simili, ma in futuro non escludo di comprarla:
    • Primo, ogni tanto uso una half-frame a pellicola con focale di 40mm quindi sarebbe una sorta di doppione per il modo in cui la uso.
    • Secondo, grazie a Luigi sto riscoprendo il tappo, cioè il 9mm f8 fisheye, e voglio divertirmi un po’ con questa strana lente che avevo comprato nel 2020 e immediatamente messo in un cassetto.
l’unica foto con il fisheye 9mm f8 di cui sono vagamente soddisfatto. Sullo sfondo c’è il Monviso. 2021, credo.

  • Ci sono anche altre alternative, in particolare le compatte anni ‘2000, che stanno vivendo un revival inatteso. Per me è no grazie perché non ne capisco l’utilizzo possibile (almeno per come scatto io, ci mancherebbe!). Ne ho una fuxia (Olympus, tra l’altro: coincidenze?11!?), scelta di quel colore per diminuire le probabilità di perderla. Miracolosamente questo stratagemma ha funzionato e ce l’ho ancora dopo 17 anni, ma non la uso.

Sì ok, ma dove sta la fregatura?

Il micro43 ha anche dei difetti: bisogna capire se sono difetti reali o no. Di questo tema scrivono meglio di me alcune persone molto più autorevoli di me, come Andrea Bernesco nella serie micro43 sensei; consiglio di leggere le sue considerazioni più approfondite.

1. Qualità d’immagine, megapixel e stampa

Prima di tutto, parliamo della “qualità d’immagine”. Che significa tutto e niente. Per quanto riguarda i megapixel, 20 sono più che sufficienti, e infatti le macchine ultra-mega-professionali-blasonate-full frame da sport montano sensori da 20 o 24, non di più.

Anzi, in viaggio avere foto da 20mp è molto comodo, perché è più facile gestirle con un cellulare, e si evita di dover portare 4 schede SD per un viaggio di due settimane. (che poi anche quelle hanno un costo, e può variare da una ventina di euro per una buona scheda SD a centinaia di euro per una scheda CF express).

Parliamo poi di stampa, ché alla fine è bello scattare ma è ancora più bello rivedere sul muro quella foto del tizio che hai incrociato in quell’angolo sperduto del mondo nel viaggio di tot anni fa. Di solito stampo 40×30, e non ho mai avuto problemi (se non causati da me). Quest’immagine della strada dei cannoni è stata stampata a 1m x 70cm: nessun problema di qualità dell’immagine.

Strada dei cannoni, 2021

Conclusione? I megapixel sono un falso problema; per approfondire, c’è anche questo video lungo e dettagliato di Promirrorless.

2. Il micro 4/3 non regge gli alti iso.

Eh beh, questo è vero, c’è poco da fare; l’elettronica può mettere una pezza, ma la fisica è la fisica, quindi non si scappa dai limiti intrinseci di un sensore. Però è solo una parte dei fatti: un’altra parte è che, avendo una profondità di campo doppia rispetto al FF, in alcuni casi posso scattare a diaframma aperto mentre dovrei chiudere con FF, compensando così la questione degli ISO.

Ma al di là di queste situazioni particolari (tipicamente una scena interna e poco illuminata, come un ristorante o una tenda), il fatto è che non ho mai avuto problemi di ISO per il ciclismo. Li ho avuto solo in un’occasione in cui avevo bisogno di tempi molto rapidi in una palestra buia (non buia tipo pallavolo: buia tipo casa dei fantasmi di Disneyland). Per tutto il resto, non sono mai salito sopra i 3200, ma più spesso mi sono tenuto entro i 2000, che anche il m43 sopporta bene. Con la più recente OM1 mi spingo anche a 4000 se occorre, dato che regge un pochino meglio.

2. Postproduzione spinta, con una metafora automobilistica.

Qui si entra in questioni molto tecniche di cui non sono pienamente padrone, quindi riporterò la mia opinione maturata finora: è bello poter pacioccare il file a più non posso, tirare su le ombre di 4 stop, e via dicendo. Questo è possibile con le macchine foto full frame ed è impossibile con m43: se ho cannato l’esposizione, c’è poco da fare; la foto deve essere buona in partenza, c’è meno margine di errore. Ma il punto per me è proprio questo: se devo tirare su le ombre di 4 stop, ho sbagliato la foto. E questo si può evitare abbastanza facilmente, grazie ai vari aiuti disponibili – ISO automatici, istogramma, segnale delle luci e dei neri bruciati.

Per usare una metafora: FF e micro43 sono come due motori da 200Cv. Il primo però è un generoso 2400cc turbodiesel, con la coppia costante tra 1500 e 300giri, così elastico che puoi partire in terza; e il secondo è un 1200 benzina impiccato, che ha la coppia solo tra 5000 e 5000giri. la potenza finale è uguale, ma è più difficile tirarla fuori dal secondo che dal primo. Bruuum brrummm!

bruuum bruuummm

4. lo svantaggio dello sfocato

Che poi non è necessariamente uno svantaggio: dipende da quello che vogliamo fare.

Per ragioni fisiche, la profondità di campo del micro4/3 è raddoppiata rispetto al FF (quella del APS-C è 1.5 circa, mentre quella del “medio formato”, che è ancora più grande del FF, è minore). Questo significa, all’atto pratico, che lo sfocato è minore.

per me non è necessariamente un male, perché mi piace un approccio reportagistico in cui quasi tutto è abbastanza a fuoco per essere leggibile. Non mi interessa quasi mai vedere solo un volto in mezzo a uno sfondo lattiginoso, preferisco capire una scena. La profondità di campo è uno strumento narrativo come gli altri, ma se ho solo 1 elemento a fuoco, questo isolamento rende più difficile descrivere un’interazione o una scena. Vantaggio o svantaggio? dipende da cosa cerchiamo, l’importante è saperlo.

hotel a Rotterdam, 2022. con una FF, avrei dovuto chiudere il diaframma per rendere leggibile lo sfondo fuori dalla finestra

5. Postilla: queste famose funzioni computazionali

Le metto come ultimo punto perché le apprezzo molto – sono simply clever, per prendere in prestito lo slogan della Skoda – ma non le uso quasi mai, a parte il live composite. Per qualcuno possono essere importanti, quindi eccole riassunte (su youtube trovate decine di video se volete approfondire)

  • Live Composite: consente di catturare scene a lunga esposizione combinando solo le parti luminose di esposizioni multiple: ideale per fotografare scie luminose o fuochi d’artificio senza sovraesporre l’immagine. ​
  • High Res Shot: permette di creare immagini ad alta risoluzione combinando più scatti in un’unica foto dettagliata. Funziona sia con treppiede sia, incredibilmente, a mano libera (e funziona davvero bene).
  • Live ND: simula l’effetto dei filtri a densità neutra, consentendo di ottenere effetti di movimento come l’acqua setosa senza l’uso di filtri fisici. ​
  • Live GND (Graduated Neutral Density): l’ultimo in ordine di apparizione, offre la possibilità di applicare filtri graduati direttamente in camera, bilanciando l’esposizione tra cielo e terra nelle fotografie di paesaggio. ​
  • Focus Stacking: automatizza la combinazione di più immagini scattate a diverse distanze focali per creare una foto con una profondità di campo estesa, particolarmente utile nella fotografia macro. ​

Eccoci alla fine: micro4/3 per cicloreportage e cicloturismo, sì o no.

Come funziona quindi il micro 4/3 per il cicloreportage e il cicloturismo? Facile, direi benissimo, perché è un sistema piccolo, economico, robusto e versatile. Così abbiamo più tempo (e qualche soldo in più) da dedicare alla bici e al viaggio, che poi è la cosa centrale.

Purtroppo, alcune deviazioni tecniche/tecnologiche sono necessarie per sfruttare al meglio il materiale, e quindi per essere creativi nel modo in cui vogliamo noi. La tecnologia al servizio della narrazione. Comunque, spero che questi excursus non siano stati troppo noiosi.

Per farla breve, per me il micro43 è stato un vero gamechanger : nei primi giri in bici ho iniziato a scattare perché la OM10 stava ovunque; se avessi ancora avuto la canon1200 con il 70-300 tamron e il 18-55, non credo che avrei mai iniziato.

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