Storytelling: trasformare i vincoli esterni in chiavi narrative. Kennedy’s Funeral Train [1968]

Questo articolo potrebbe anche intitolarsi “come fare di necessità virtù”, una risorsa sempre utilissima: Il reportage di Paul Fusco è un esempio magistrale di come possiamo sfruttare i vincoli esterni per lo storytelling.

Dopo aver parlato di Roy de Carava e della sua narrazione unica, proseguiamo ad ammucchiare riflessioni su altri autori e progetti interessanti per raccontare storie di bici e di viaggi. Tra l’altro Fusco, fotografo di Magnum, sarà poi maestro di Matt Black, di cui sicuramente parleremo perché è un altro autore wow per i nostri propositi ciclo-fotografici.

Parliamo di Funeral Train: di che si tratta?

E’ un reportage politico e sociale di Paul Fusco (1930 – 2020). Non c’è bisogno di dire che è nato per caso, ma nel dubbio sottolineiamolo. Anzi, diciamo che Fusco ha trasformato il carbone in diamante: è un servizio interamente scattato dal treno, che è un’altra cosa interessante dato che, come disse Marylin,

Trains are a cyclist's best friends
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Andiamo con ordine, e facciamocelo raccontare dallo stesso Paul:

“Quel giorno non dovevo lavorare, ma vivevo a Manhattan e decisi di passare in redazione. Gli uffici di Look erano […] proprio alle spalle di St. Patrick, i colleghi erano tutti in silenzio. Si respirava un’angoscia fortissima. Mi siedo. Bill Arthur, il direttore, mi vede e mi chiama nella sua stanza. “Paul, vai a Penn Station, porteranno la bara di Kennedy a Washington. Sali su quel treno”. Non aggiunse una parola, non disse cosa voleva, che tipo di foto, se aveva delle idee, nulla. Io non chiesi nulla, allora funzionava così. […] Trovai subito il treno, era circondato dagli uomini dei servizi segreti. Mostro il tesserino e salgo, un agente mi indica un sedile dell’ottavo vagone e mi dice “siediti qui e non ti muovere”.

Fusco ha tre macchine – due Leica e una Nikon, per gli amanti della tecnologia – e qualche decina di rullini. Però gli vietano di fotografare la salma, chiusa nel vagone nove.

“Non sapevo cosa fare, pensavo che a Washington e poi al cimitero di Arlington avremmo trovato decine di colleghi e di telecamere ad aspettarci, avevo bisogno di un’idea subito. Ero pieno d’ansia ma mi bastò guardare fuori dal finestrino per capire: vidi la folla e fu tutto chiaro. Abbassai il finestrino e cominciai a scattare. Rimasi nella stessa posizione per otto ore a fotografare la gente accanto ai binari. Quella era la Storia.”

E’ seduto sul lato destro del treno, che va da nord a Sud: la luce inonda prima tutta la scena, poi, quando cala il tramonto, illumina le spalle delle persone. Fusco scatta alcune migliaia di foto, e il suo reportage termina al capolinea, ad Arlington.


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Piccola parentesi. La vicenda editoriale merita di essere raccontata, anche se non ci interessa direttamente: Look (la rivista, non il marchio di bici!) decide di non pubblicare il servizio, e quando un paio d’anni dopo il giornale chiude, Fusco si porta a casa circa 200 foto; le altre 2000 restano sepolte negli archivi. Fusco, ormai membro a pieno titolo dell’agenzia Magnum, cerca un editore per decenni, ma nessuno vuole pubblicare il reportage fino al 1998. Finalmente trova la persona giusta, e finalmente si arriva a una pubblicazione. In breve tempo le esposizioni si susseguono, da Londra a Roma (dove le foto sono esposte alla stazione Termini, con i passeggeri che se le trovano scendendo dal treno). Nel frattempo, un curatore particolarmente tenace ritrova l’archivio completo, finito ormai alla Library of Congress, e finalmente vengono pubblicate nuove edizioni più ricche.


Torniamo a noi ciclettari e ai temi che ci interessano, che sono moltissimi: le ragioni per cui Fusco è un autore prezioso sono stilistiche, artistiche, logistiche, progettuali. Praticamente, c’è tutto.

In primis, parliamo di emozioni

Intervistato su quel giorno così cruciale, Fusco ricorda che “fui sopraffatto dal flusso costante di persone, dalla loro varietà e dal loro dolore; la perdita che avevano subito era visibile. La maggior parte del tempo, ci nascondiamo: non vogliamo che le persone sappiano che cosa stiamo provando. Ma quel giorno, quasi nessuno si stava nascondendo; era un’ondata di emozioni, senza interruzioni”.

Lo conferma anche il critico Louis Menand sul New Yorker :

“Le fotografie di Fusco sono straordinarie sotto ogni aspetto. I volti degli individui sono spesso a fuoco, rispetto a uno sfondo lievemente sfocato. C’è una nudità che è rara in situazioni pubbliche. Queste persone non pensano che qualcuno le stia guardando, è una nudità che molti fotografi hanno cercato di catturare. E’ qui.

Per motivi diversi e più felici, durante le avventure in bici succede qualcosa di simile. La stanchezza fa cadere le nostre barriere, la soglia dell’imbarazzo si innalza vertiginosamente: in un viaggio tra amici, il primo giorno ci allontaniamo di 50 metri per cambiarci; il secondo giorno ci basta andare dietro il primo albero, ma dal terzo in poi – chi me lo fa fare, mi cambio qui a 2 metri dal falò, tanto sono tutti concentrati sulla birra.

La nudità non è solo fisica. Finisce che non nascondiamo più le emozioni, dal sorriso a 32 denti quando vediamo una trattoria in mezzo al bosco, allo scoramento assoluto quando scopriamo che è abbandonata dal 2019. I gesti tradiscono il nostro stato d’animo. La postura rende evidente la fatica, e lo sguardo nel vuoto, mentre ci riposiamo a un tavolino, la conferma definitivamente.

Tutto questo ha un impatto notevole sulle foto che scattiamo: come per Fusco, non è una situazione ordinaria, ma straordinaria; anche in questo senso la bicicletta è un catalizzatore o un acceleratore di storie: è il meccanismo che porta in superficie le emozioni e le rende chiaramente visibili.

Secondo: cercare la storia ai bordi della storia.

Immaginiamo di essere nei panni di Fusco, e di ricevere lo stesso ordine di fotografare il funerale di RFK. Quello che ci viene in mente subito è immortalare la carovana di auto, la cerimonia solenne, le simmetrie minimaliste del cimitero di Arlington, i volti scuri e impassibili. Questo è l’oggetto del reportage: il funerale. Però, a pensarci bene, è poco, o meglio è un po’ vuoto: al di là di una foto che serve a riempire la prima pagina di qualche giornale, una foto di non trasmette niente: dà la notizia e basta.

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Ecco una foto “notizia”. Invece, sotto, delle foto “narrazione”.

Invece Fusco trova la storia vera, che non c’entra nulla con il rito del funerale in sé: spinto dalla necessità, scopre un filone molto più interessante ai margini del fatto – il trasferimento in treno; in teoria è una parte secondaria, un corollario, ma in realtà è questo che racconta meglio la vita di quel personaggio fino alla sua scomparsa. In effetti queste foto sono qui ancora oggi, e parlano anche a noi che pure non abbiamo mai conosciuto BFK né siamo Americani. Perché capiamo di quale popolarità godeva, che periodo storico ha attraversato, dove ha vissuto. Sono foto che riescono a raccontare la vita di una persona più che la sua morte.

Dal canto suo, la fotografia in bianco e nero del funerale (forse anche quella è di Fusco) potrebbe ritrarre il funerale di chiunque in qualsiasi luogo, perché i funerali sono tutti quella cosa lì. Parlano solo a chi legge la notizia qui e ora ora, mentre a tutti gli altri notificano semplicemente la morte di qualcuno di importante. La foto in bianco e nero è notizia, quelle dal treno sono narrazione.

Quindi la lezione per noi è semplice: quando succede qualcosa di importante, ricordiamoci di guardare anche quello che succede intorno: proviamo a ragionare in modo alternativo, è probabile che troveremo storie diverse, magari piccole, magari grandi. Non guardiamo al ciclista favorito che arriva in vetta: cerchiamo le storie tra chi lo insegue, tra gli spettatori, in quello che succede intorno. Questo vale a tutti i livelli: è più interessante sapere che durante il viaggio abbiamo scalato il tal colle in tal tempo, oppure scoprire chi abbiamo incontrato durante la salita, come ci sentivamo, cosa ci aspettavamo?


Terzo: la coerenza dello stile

Nelle foto del Funeral Train c’è molta coerenza formale. Ci mancherebbe, dato che Fusco ha una prospettiva che più limitata non si può. Hai voglia a cambiare focale, macchina foto e settaggi (ha 3 macchine diverse, ma non sappiamo quali focali; di sicuro una delle tre scatta in B/N, le altre due in kodachrome): sei comunque su un treno che continua a muoversi.

Quasi tutte le foto sono in orizzontale, ulteriore elemento di coerenza. Tutte sono dall’alto al basso, dato che il treno passa sui terrapieni o sui binari sopraelevati dei centri urbani. Questo fatto accidentale ha anche un valore simbolico che concorre alla narrazione, dato che suggerisce riverenza e dà importanza alla prospettiva di chi scatta: coincidenza fortunata per l’occasione.

Tutta questa omogeneità forzata in realtà non è un problema, ma una risorsa, perché rinforza la narrazione. Se le foto fossero un mix di B/N e colori, o con lunghezze focali molto diverse, i nostri occhi si perderebbero e la narrazione sarebbe più debole. Invece così la narrazione è più lineare, ci costringe a stare lì seduti mentre il treno si sposta lentamente da New York a Washington.

Certo, ci sono eccezioni, come questo scatto più chiuso di una donna afroamericana oppure lo scatto del funerale. Quest’ultima è comunque molto evocativa, ma non è molto diversa da tante altre foto di funerali celebri.

Un altro limite che Fusco ha trasformato in forza narrativa, anche se non poteva fare molto altro, è il tempo: il treno parte di giorno, e le prime foto hanno un sole netto dall’alto. Poi arriva il tramonto, le ombre si allungano, la luce dorata illumina da dietro le persone che rendono omaggio a RFK. I tempi di scatto si allungano, le persone iniziano a essere sfocate. Il rullino Kodachrome ha un fantastico ISO64 (se non addirittura 25), quindi, quando cala la luce, Fusco è fottuto deve rallentare i tempi, ma comunque ottiene foto più scure. Poi cala l’oscurità, tempi lunghissimi, quasi tutto sfocato.

“La luce cala, le fotografie cominciano a essere mosse, sgranate. ‘iniziavo a preoccuparmi mentre vedevo il sole scendere’. I volti si fanno sempre meno riconoscibili: è la dissolvenza di una storia, di una vita, del sogno americano.” [MdF]

Quale estetica migliore, per raccontare un funerale?

Tornato a New York, mentre osservavo le mie immagini, da quelle scattate con una buona esposizione a quelle sempre più scure, ho capito che il senso del mio reportage era il passaggio dalla luce all’oscurità, dalla speranza alla perdita, dall’amore alla tragedia e al dolore.


Parentesi: da Fusco in poi, altri progetti più o meno celebri hanno sfruttato questo concetto del limite come chiave narrativa, e anche la stessa situazione del viaggio in treno. Un esempio recente è MI-RO, di Jacopo Di Cera (che avevo visto in un’edizione di Paratissima qui a Torino: in questo caso la coerenza formale è ulteriormente accentuata dalle cornici, che simulano gli oblò quadrati di un treno. Escamotage perfetto!


Cosa possiamo imparare da Funeral Train

Primo: fare di necessità virtù.

Riportiamo tutto ciò a proporzioni ciclistiche e meno solenni: la prima conclusione che ci interessa è che il limite può diventare una forza, se sfruttato intelligentemente. “In ogni crisi c’è un’opportunità”, oppure “se la vita ti dà dei limoni, fa’ la limonata”, eccetera eccetera. Ci siamo capiti.

Attenzione, non è che ogni limite è automaticamente una forza: lo dobbiamo fare diventare noi, dobbiamo pensare a come trasformarlo; su questo c’è piena libertà. In questo, il caso del treno è preziosissimo: mentre siamo in bici la situazione è simile, non possiamo fare molte deviazioni (vuoi per mancanza di tempo, vuoi perché dobbiamo seguire una traccia). Siamo su dei binari, quindi possiamo scopiazzare allegramente Fusco, oppure come minimo ispirarci a lui. Qualche esempio? Potremmo immaginare di scattare foto solo frontali mentre pedaliamo: sicuramente, nel mucchio verrebbero fuori situazioni interessanti: animali che attraversano la strada, oggetti abbandonati, incontri fortuiti. Se poi abbiamo voglia di pensare a monte a quello che vogliamo raccontare, allora la narrazione sarà ancora più efficace; in questi casi i limiti garantiranno una certa coerenza stilistica alle nostre foto.

Anche se viaggiamo con una macchina usa e getta, quindi senza possibilità di cambiare impostazioni, possiamo decidere che è esattamente quello che vogliamo, e scattare di conseguenza.

Secondo: la fortuna aiuta gli audaci

Visto che sono sufficientemente vere, continuiamo con le frasi fatte. Anche questa della fortuna è una regola abbastanza affidabile. Fusco ha molti vincoli, tutti elementi che sfuggono al suo controllo: il treno che continua lentamente ma inevitabilmente a viaggiare; le persone fuori, che compongono un affresco dell’umanità abbastanza variegato (anche se quello che viene fuori è l’america povera e prevalentemente rurale); infine la luce, che è la ciliegina sulla torta con la storia del tramonto e delle foto sfocate. In questo, Fusco è fortunato; non bisogna sottovalutare questo aspetto, perché capita più di quanto si pensi (ovviamente e capita abbondantemente anche la sfiga, ma non approfondiamo). Un altro esempio pratico?

Facendo il reportage di un allenamento di Vittoria Bussi al velodromo svizzero di Aigle, la fortuna mi ha sorriso. Il velodromo era tutto sui colori giallo e blu, il giallo-marrone del legno e il blu tipico degli oggetti d’arredo delle palestre, compreso il pavimento. E’ già un accostamento che funziona (a causa del contrasto), e quindi si parte bene. La cosa fortunata è che l’arredamento dell’hotel, dove abbiamo scattato molte foto “off”, era azzurro e arancione/rosso. Quindi grazie al blu c’è una bella continuità tra i due contesti, mentre l’altro colore testimonia la loro separazione. Insomma, una bella botta di fortuna.

Terzo: i treni, chi pensa ai treni?

Torniamo un attimo a Marilyn e alla sua passione sfrenata per i treni. Sono i compagni naturali di ogni ciclista, ma sono anche luoghi affascinanti: il contrasto di luci tra interno ed esterno, le atmosfere che si creano, le persone che li abitano e, ovviamente, lo scorrere di paesaggi molto diversi. Tutti elementi potenzialmente molto interessanti.

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Per me, scattare in treno è ormai un rituale; è quello che certifica l’inizio di un’uscita fotografica, e spesso anche il rientro a casa. Insomma, è già di per sé materiale per una storia, o meglio per un collage di storie. Quindi non solo scattare dal treno, come Fusco, ma anche nel treno e il treno stesso. Guardando il mio archivio, ho scoperto che ho centinaia di foto in treno; si sono accumulate senza che me ne accorgessi, almeno all’inizio. Ora sto lavorando a un progetto in questo senso (al momento l’ho chiamato Train/Ing), ma senza affanno.


Concludiamo

Emozioni, treni, vincoli, fortuna. Abbiamo parlato di tante cose e siamo ormai al capolinea. Spesso fotografare vuol dire adattarsi, fare scelte anche controintuitive e lasciarsi trasportare dalle situazioni può, come per Fusco, portare a un risultato insperato e originale che ribalta la prospettiva e rompendo la tradizione ci offre un nuovo punto di vista. Questo è ancora più vero quando si parla di fotografia e bicicletta, ed è questo l’elemento che trovo soprattutto affascinante.

Per mettere in pratica (e in teoria): workshop di storytelling ciclo-fotografico

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