Giro d’Italia tappa 2: obiettivi raggiunti, obiettivi mancati e foto analizzate (e prime impressioni sulla OM1 mkII)

Cosa, quando, dove:

5 maggio 2024, Velodromo Francone, San Francesco al Campo. Una mattina alla partenza della II tappa del Giro d’Italia, per valorizzare la struttura e il fascino del Velodromo Francone.

In una mezza giornata ho scattato circa 900 foto, di cui due terzi con Om1 mark II + 40-150 [ho scritto qui una piccola recensione della nuova macchina] e un terzo con Em1 +12-40 (e alcune con il 7-14).

Il Giro non è la mia cup of tea: preferisco eventi dove il fango supera il glamour. Però questa è l’élite del ciclismo mondiale su strada, quindi dire che è brutto da fotografare sarebbe una frottola bella e buona. Bisogna dire anche che è facile fare “foto buone”: atleti professionisti, il non plus ultra della tecnologia ciclistica e un ricchissimo apparato di staff, media, organizzazione: insomma, il tutto è decisamente colorato, movimentato e nel complesso affascinante. Funziona.

Obiettivi primari ma soprattutto secondari

Proprio perché è un evento relativamente facile da fotografare, sono andato con alcuni obiettivi specifici oltre all’incarico del caso. Questo era mettere in risalto la struttura del Velodromo Francone in vista di una gara di ultra che si terrà a luglio, la VIA Race, che puoi seguire anche qui. I circa 140 partecipanti partiti dal Sud della Spagna dovranno raggiungere Giovinazzo, sulle orme di Annibale, in una gara di 4000km senza tappe: percorreranno dai 300 ai 600km al giorno, e il Francone sarà uno dei Rifugi pronti ad accoglierli per una breve sosta. Per quanto mi riguarda, li seguirò da quando entrano in Italia fino al traguardo: sarano dieci giorni di fuoco, e non vedo l’ora.

Ero già stato al Francone per il Turin International Cyclocross del Natale 2022. In quell’occasione avevo scattato per divertimento e per allenamento. Tornarci in veste semi-ufficiale è stato un piacere, e avevo già un’idea dei luoghi; anche se tra il ciclocross invernale e il Giro primaverile, il posto era praticamente irriconoscibile.

Dicevamo, obiettivi secondari. Non mi interessava molto fotografare i big – alias Pogacar, visto che quasi tutti gli altri sono fuori gioco; ma tutti indistintamente. Oltre a valorizzare i luoghi, volevo concentrarmi sui dettagli: cioè i gesti, gli oggetti particolari, le espressioni; questo non solo degli atleti, ma anche dei membri dei team e del pubblico e/o organizzatori. Spesso uno sbadiglio, l’attesa di un caffè o un gesto istintivo aggiungono profondità alla narrazione, dandole un mood specifico. Quest’anno è uno degli aspetti su cui voglio lavorare.

Com’è andata? Un bilancio e alcuni esempi.

Ci sono riuscito? Solo in parte. Alcuni scatti su questo tema ci sono, come quelli qua sopra. Mi soddisfa quello dello scambio dei pennarelli, in cui il colore funziona e le braccia formano linee quasi astratte; Ma sono pochi e non interessanti come avrei voluto. Insomma, non mi lasciano soddisfatto. Perché?

Ragionandoci, credo che i motivi siano due, tra l’altro strettamente connessi.

Primo: procedure, procedure, procedure!

Tra l’arrivo dei team e la partenza passano, al più, due ore. In mezzo succede di tutto: i meccanici preparano le bici, gli atleti si riscaldano, i team manager confabulano, gli atleti salutano il pubblico, gli atleti pedalano pigramente fino al palco per la presentazione, gli atleti si fanno intervistare, gli atleti tornano al bus oppure vanno alla partenza. Tutto questo secondo un rito ben collaudato e nel clamore dei tifosi, sempre numerosi. A Bra mi sono occupato della festa in città, quindi potevo andare abbastanza a sentimento; mentre qui avevo accesso al podio e ad altre aree riservate, il palco dove si svolge tutto questo teatro; conoscere le procedure è essenziale per anticipare i movimenti e prevedere situazioni, per avvicinarsi di più, e di conseguenza per scattare foto più efficaci.

Non solo: con l’esperienza si conoscono anche le abitudini delle squadre, addirittura dei singoli ciclisti: anche questo è un patrimonio prezioso per migliorare la quota di foto valide; ma è un privilegio riservato ai fotografi che seguono molte tappe del Giro e in diversi anni, come il mitico Marco Alpozzi.

Secondo: WORK THE SCENE? Sì, no, forse, dipende.

Questa è la seconda lezione. Certo, sarebbe bello avere tempo per studiare la scena e fare numerosi tentativi fino a trovare lo scatto perfetto. Quando si può, è molto interessante, come per esempio racconta Marco a proposito della 12H del Mugello: la divisa del colore giusto, il gesto inaspettato, la silhouette suggestiva. In questo, la pianificazione prima dell’evento è cruciale, e poi basta avere tempo per beccare il momento giusto.

Solo che il tempo non c’è. Bisogna spremere tutto in un paio d’ore. Gli spostamenti sono resi lenti dal pubblico, gli spazi sono ampi, i parcheggi sono sparsi qua e là a qualche centinaio di metri, e sono a loro volta a una certa distanza dal velodromo e dal palco dove le squadre sfilano prima della partenza.

Insomma, non si può pensare di scattare tutto: la selezione degli spot è ancora più importante del solito. Una volta ottenuto uno scatto buono in una zona, avrei dovuto mollare l’osso e cambiare subito area. In casi come questi il meglio è nemico del bene, e intestardirsi è controproducente: non porta a scatti migliori ma a perdere potenziali scatti. Fatta una foto che trasmette efficacemente quello che vogliamo, via verso il prossimo spot. Qualche esempio? Ecco alcune analisi di foto.

NB: se avessi scattato per me, sarei rimasto tutte le 2h in un paio di spot e avrei, appunto, lavorato la scena a fondo. Dato che l’incarico era altro, però, non potevo concentrarmi solo su un paio di spot.


foto 1. la lavagna

La lavagna trasparente è un classico. La scena della firma è molto fotogenica, con i ciclisti che interagiscono con i reporter e tra di loro. Sono riuscito a catturare alcuni momenti che mi interessavano, come il cambio di mano dei pennarelli e l’infilata delle gambe; ma nel complesso ho gestito male la situazione, insistendo troppo per perfezionare la foto: non sono riuscito a fare nulla di clamoroso, e contemporaneamente ho perso potenziali scatti nelle altre aree. Ho una dozzina di foto buone della firma, più o meno tutte con stessa inquadratura: uno spreco. Invece, per fare un esempio, avrei dovuto fare questa foto anche in versione “invertita”, mettendo a fuoco gli spalti per sottolineare il folklore a scapito del ciclista. Un errore banale.


foto 2: il riflesso.

Quando i bus sono arrivati e hanno cominciato a scaricare il materiale, ho agganciato un meccanico e volevo trovare un riflesso interessante nei suoi occhiali a specchio. Una scritta, un logo, una forma interessante sarebbero bastati per far funzionare la foto. Non ci sono riuscito, e nel frattempo sono passati 5 preziosi minuti. Sigh.


foto 3. Il giallissimo team Visma.

Uno dei ciclisti si stava rifugiando nel minivan, non sembrava tanto entusiasta all’idea di gareggiare; intanto i suoi compagni e i meccanici ronzavano intorno tra caffè e ultime messe a punto. Se avessi avuto tempo, mi sarei allontanato per usare un mezzo tele e per tenere insieme una scenetta “triangolare” da sinistra a destra: il ragazzo in piedi con il caffé, un atleta che fruga nel retro, il ragazzo timido – il vero soggetto, anche se molto discreto – e magari un’ultima figura a destra, come quinta per chiudere. Ma non avevo tempo e sono andato via, non senza rammarico.


Lezioni utili; prime impressioni con la nuova Om1mkII.

Insomma, non è stata una giornata di grandi soddisfazioni, ma l’obiettivo primario è stato raggiunto, mentre tutte queste foto non riuscite sono state un ottimo allenamento: tanti errori significa tanti spunti e una motivazione in più per i prossimi lavori.

Intanto è stata la prima occasione in cui ho usato la OM1markII come prima macchina, dopo alcune settimane di familiarizzazione e setup da quando l’ho acquistata dai mitici Foto Renata. Il verdetto fin qui è positivo. L’esperienza di scatto è molto gradevole, un passo avanti rispetto alla Em1, quasi certamente grazie al mirino e al display più fluidi e definiti. L’AF è ottimo, molto più evoluto rispetto alla Em1. Devo ancora perfezionare i settaggi per farlo lavorare al meglio, ma intanto ho capito che il riconoscimento opportuno per il ciclismo è quello delle persone, non dei mezzi. Resta da capire se, per come scatto io, è più comodo dare la priorità al tracking (ignorando l’area di MAF) oppure, come sto facendo, limitare il tracking all’interno dell’area di MAF. Qualche migliaio di scatti serviranno a dissipare questo e altri dubbi operativi: vedremo prossimamente al Gravel Gourmet o sul Mont Ventoux.


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