Quando le cose non sono facili di per sé, ma il team le rende facili con la sua competenza e la sua disponibilità, si lavora alla grande; anche se parti già un po’ stanco dopo una lunga serie di lavori intensi. è proprio il caso dello Züri Escape.
Dominik e Fabian hanno creato The Cake Movement per riunire eventi gravel più o meno competitivi, ma tutti molto conviviali. A ottobre avevo seguito il Dead ends & Dolci, gestito da Dominik e Stefano, ed era stata una bellissima scoperta (ne ho parlato su Alvento 36 e su bikeitalia).
Quest’anno collaboro con Cake Movement per coprire diversi eventi, di cui lo Züri Escape è il primo: 400 km intorno al lago di Zurigo, 52 ore di evento, una dozzina di volontari su 2 checkpoint, ma soprattutto 100 partecipanti: 50 donne e 50 uomini, una rara parità.
Grazie alle esperienze recenti, coprire questi eventi – in cui si pedala in autonomia, ognuno con ambizioni, ritmi e abitudini diverse – sta diventando non dico una routine, ma una cosa vagamente familiare; inizio ad avere qualche punto di riferimento e qualche procedura consolidata. In particolare la VIA Race (grazie a Ryan Le Garrec e non solo) è stata una palestra incredibile e mi ha dato qualche strumento in più per affrontare queste situazioni.
Però poi sul campo le procedure e i punti di riferimento valgono quel che valgono, e il qui e ora prende il sopravvento: puoi preparare e pianificare quanto vuoi, ma poi quando il cronometro parte bisogna elaborare strategie a corto e medio termine per coprire al meglio la gara, e poi rielaborare queste strategie praticamente di continuo. In più, anche se la gara è lunga, tutto si gioca nel giro di secondi: spesso capita di riuscire a beccare un partecipante, oppure di perderlo, a causa di un semaforo rosso di troppo. E così ovviamente le sorprese sono dietro l’angolo: alcune fanno ridere, altre sono a lieto fine, altre no. Ecco una carrellata di situazioni che mi sono capitate in questi tre giorni e due notti di lavoro.
Cercando cimiteri su Airbnb
La prima è una storia di fallimenti. Il Sacro Graal delle foto di ultraciclismo sono i partecipanti che dormono, che sono una preda molto ambita: dormono poco, e quando non si fermano in strutture – dove sono ovviamente irraggiungibili – si appartano in zone tranquille, lontano dal traffico e da possibili avventori; a completare il tutto, spesso spengono il tracker per risparmiare batteria. Si capisce quindi che una foto come quella di James Robertson (lo so, lo cito spesso, ma che ci posso fare?) vale 1000punti. Chi lo sa se è stato un lungo pedinamento, una soffiata o un colpo di fortuna.

avvicinamento silenzioso
La notte tra sabato e domenica dormo al CP2, la baita gestita magistralmente da Larissa, Luca e Christof. Come ha detto perfettamente Jennifer, difficile arrivare al checkpoint, ancora più difficile andarsene.

Decido di riposarmi lì qualche ora e di svegliarmi prima dell’alba, sperando di trovare alcuni partecipanti che dormono in luoghi interessanti. Alle 4,40 salto in auto e inizio a scendere. Non c’è segnale al rifugio, quindi non ho informazioni su come sia evoluta la gara in queste ore: la mia decisione di dormire si fonda non su informazioni fresche ma sul fatto che ho bisogno di dormire un po’ dopo 18h di lavoro.
Appena mi fermo il tracker mostra due ragazze nei pressi della chiesa di Siebnen, uno dei mille paesi lì intorno. Dal tracker sembrerebbero nel cimitero, niente male. Sono a circa 1h di auto, e mentre raggiungo il paese incontro Alice giusto il tempo di una foto al volo. Poi di nuovo a rotta di collo verso il piccolo villaggio di Siebnen, mentre comincia ad albeggiare. Bedo Hamza, che ho già beccato la sera prima in montagna, sta passando; è un ragazzo molto piacevole, ma dato che ho già diversi scatti suoi non se ne parla di inseguirlo di nuovo – non quando l’alternativa è un cimitero.
Sono a Reichenberg, mi mancano Buttikon e Schubelback, poi ci siamo. Limiti a 80 fuori dall’abitato, 50 dentro. Su su su. Un semaforo rosso potrebbe fare la differenza, possono partire da un momento all’altro. Appena entro in paese vedo che sia Alicia (singola) sia Alessandro e Ivo (in coppia) dormono in zona, ma non si capisce se sono in un parco pubblico oppure nell’hotel adiacente. Parcheggio a casaccio nel piazzale deserto e corro a cercare.
Dopo un rapido sopralluogo scappo, pazienza per quei tre, probabilmente sono in albergo. Diamine, sto puntando a Lisa e Julia nel cimitero, per quanto possa suonare male.
scatta la trappola
Sono quasi le 6: di domenica, il paese è deserto persino per gli standard svizzeri. Parcheggio davanti alla chiesa, chiudendo piano la porta per non svegliare le due partecipanti, oppure per scaramanzia. Apro il cancelletto del camposanto, che gira intorno a due lati dell’edificio.
Tutto tace, e inizia a piovere. Non voglio svegliarle o spaventarle. Sto praticamente tremando dall’emozione, e cammino piano sul selciato cercando qualche segno di vita umana. Niente. Una scena un tantino creepy, per qualcuno che si affaccia dalle case intorno. Accelero il passo, sbircio dietro lapidi, cerco in un garage aperto, provo sotto il porticato. In una mano ho la macchina foto, nell’altra il cellulare con il tracking. Niente. Allora ripercorro le ultime ore di gara per capire cosa mi è sfuggito: i pallini si sono fermati qui a tarda sera, ma poi si sono grigettati: ultimo update più di quattro ore fa. Quindi hanno spento lo scatolotto, e magari si sono dimenticate di riaccenderlo quando son partite.
Faccio un altro giro, questa volta anche all’esterno del recinto – magari c’è un porticato o una zona ancora più tranquilla del cimitero. Ancora niente. Che fare? Se son partite, posso raggiungerle? controllo gli orari delle panetterie, per intercettarle a colazione, ma di domenica è tutto sprangato. Faccio un ultimo giro, giusto per sicurezza, e mollo.
piano B (che non è un piano)
La fortuna mi assiste: alle 6.37, mentre in macchina mi arrovello su cosa è andato storto al cimitero, Dominik mi scrive per chiedermi di fare un check su Karen, che è ferma qualche km più avanti. Dopo una breve ricerca la trovo, e ne esce un bel reportage di “sacco a pelo in mezzo all’erba adiacente statale”. Comunque, torno a casa con il rimpianto di non aver ottenuto la foto tanto ambita del bivacco nel cimitero: tutta esperienza per la prossima volta.
Libertà e angoscia: il problema del secondo giorno
E’ risaputo che quando si pedala il giorno più faticoso è il terzo: non c’è più l’energia dell’inizio, l’entusiasmo dell’avventura si è già smorzato; nello stesso tempo il corpo non si è ancora abituato ai ritmi di un cicloviaggio o di un’ultra.
Invece, quando si tratta di fotografare gli eventi di 3 giorni, cioè i trail come lo Züri Escape, il giorno più duro è il secondo. In quelli di due giorni, ci sono la partenza e l’arrivo che scandiscono il ritmo: bisogna fotografarli e tutto il resto ruota intorno a questi due punti fissi in modo piuttosto naturale.
Qui no, c’è il secondo giorno di mezzo: puoi fare tutto quello che vuoi dall’alba al tramonto. Ma è anche il giorno clou, in cui devi tirare fuori la ciccia del materiale. In questo caso la fiducia di Dominik, che mi dice solo “fai quello che sai fare”, non aiuta. Senza punti fermi, è’ quella libertà che causa angoscia: cercando di inseguire tutti i partecipanti, si rischia di non beccarne nessuno – vedi l’esempio qui sotto. L’angoscia da libertà può paralizzare, e diventa difficile tirare fuori le foto buone che servono a fine lavoro. 52 ore sono tante, ma sono pochissime se si vuole coprire tutta la gamma delle avventure che affrontano i partecipanti su un territorio così vasto. Per di più, 100 partecipanti – di cui 20 coppie, perciò si tratta di 80 piccoli puntini sul tracking – sono pochissimi, bisogna cercarli con il lanternino.
Kierkegaard e gli asini di Buridano
Un caso tipico di angoscia e paralisi kierkegaardiana è quello che mi capita a Raten. Il gioviale filosofo danese scrive – riassumiamo – che la libertà tipica della condizione umana è causa di angoscia esistenziale, e rischia di paralizzarci. Riportando questa riflessione profonda a un livello più triviale, il concetto rimane: di fronte a una scelta, sono più importanti le infinite possibilità che escludiamo rispetto all’unica che decidiamo di mettere in atto. E questo rischia seriamente di paralizzarci e farci perdere capra e cavoli, un po’ come l’asino di Buridano. Esattamente quello che è capitato a Raten.
Domenica mattina, alcune ore dopo il cimitero, il mio piano è di andare al passo di Raten per intercettare un altro gruppo di partecipanti al saltuario di St Jost, una cappella in una radura in mezzo al bosco. Arrivo appena in tempo per seguire brevemente Rebecca, oltre il passo, poi torno indietro.
Sono le 8, la luce è abbastanza piatta. la strada asfaltata taglia il passo da ovest a est, e nell’incrocio con la traccia sterrata, da sud a nord, c’è un parcheggio con ristorante. Di solito non ci si ferma alla fine di una discesa, però subito dopo inizia una lieve salita e soprattutto è ora di colazione: qualcuno si fermerà. Inizio a salire a piedi verso il santuario, una camminata di mezz’oretta. Essendo in discesa (per loro), se li incrocio posso solo fare scatti “sportivi”.
Ne sfreccia uno, non so chi; scatto una cosa veloce, poi lui si ferma a mangiare al caffè. Guardo il tracker, altri ciclisti stanno salendoa verso il santuario, ma rischio di arrivare tardi e di incrociarli già in discesa. Dopo di loro c’è un buco di mezz’ora senza nessuno. Che fare? a quel punto sono in bilico: rischio di salire al santuario per nulla, e poi perdermi anche la colazione una volta tornato giù? Oppure faccio altre foto in pausa, anche se ne ho abbastanza? Ci metto 20 minuti a salire al santuario, ma comunque ce ne vanno quasi 10 per scendere al bar. Il rischio di perdere entrambe le scene è concreto, e aumenta ogni minuto che passa.
Decido di scendere al bar: eventualmente posso tornare dopo al santuario, che è un passaggio obbligato, mentre passata l’ora di colazione – e avvicinandosi l’ora del finish – si fermeranno in pochi a mangiare.
Alla fine è una scelta sensata, riesco a fare alcune foto cozy con soddisfazione; e torno un paio d’ore dopo al santuario, dove faccio un paio di scatti normali ma comunque utili alla narrazione. Questa volta sono riuscito a salvare capra e cavoli, è andata bene. Mi merito una Zeer, me lo appunto per quando sarò al finish.

Ti aspetti Sergio Leone, ti trovi al parcheggio dell’Esselunga
Anzi, neanche quello, che sarebbe a suo modo affascinante. I parcheggi e i supermercati hanno il loro fascino. Ad esempio, le insegne arancioni del Migros hanno dato un timido senso a un paio di foto di ad Alessandro e Ivo, complice la maglia simile; mentre la caffetteria ha dato l’occasione per un paio di scatti a Marco&Marco, anche se qui non sono soddisfatto del risultato.
Questo caso è diverso. Studiando la traccia avevo scovato questa piccola gemma, un passaggio a livello con stazione in legno molto vissuta. Tutto molto far west, bellissimo. Ci mettiamo un paio di ciclisti e siamo subito in Wyoming nel 1880, che figata. Uno dei punti che, oltre a un pin sulla mappa, ha meritato un’annotazione mentale: ci sarei passato tra il secondo e il terzo giorno a seconda degli sviluppi, anche perché il passaggio a livello era anche l’apertura di un percorso pianeggiante in una mezza palude, un luogo caratteristico e unico sulla traccia.

Invece no: l’immagine di google era di qualche anno fa, e nel frattempo la stazione è diventata un blocco di cemento; al posto dei cespugli sulla massicciata c’è cemento e ringhiere. Impossibile lavorarci con la macchina foto, spot da buttare. Via con il prossimo.
Chi s’è visto s’è visto, e poi lo rivedo alla curva dopo
Per quanto uno provi a differenziare i target inseguendo “a mezze giornate” dei gruppi diversi, alla fine ci sono alcuni personaggi che ritornano. Il meccanismo ricorda quello delle serie TV, dove ogni episodio ha la sua storia, però poi ci sono quei personaggi che ritornano ogni tot episodi, e alla fine ti affezioni.
Alla prima sosta utile, km50, incontro Wendy, un’affezionata di Cake Movement alle prese con il suo primo Züri Escape. “I tratti rocciosi sono estenuanti, l’asfalto è già diventato la mia parte preferita”, racconta mentre fa spesa di caffè e merendine. “Ci sono tante sezioni flow di erba e prati, le mie preferite, perché mi liberano la mente e vado spedita”. La rivedo nel bosco, più tardi; e poi anche poco prima della salita al CP2, quando decide di ritirarsi: l’andatura più lenta del previsto ha fatto saltare i suoi piani, e non riuscirebbe a tornare a casa in tempo.
Anche Simone e Jonas sono un incontro ricorrente: al sabato li trovo sotto un portico, che si riparano da una fine pioggerellina facendo uno spuntino. Li ribecco al pomeriggio sulla salita del Tanzboden, verso il CP1; anzi, ritrovo solo lui: la fidanzata si è ritirata ed è alla SPA, tornerà per prendere in giro il suo compagno sudato e lercio. Ci rivediamo ancora nella palude, dopo la stazione del far west rifatta a nuovo. Due chiacchiere e lo lascio andare, aspettando il prossimo gruppo. Poco dopo, mentre imperversano gli spari dei cacciatori sulle colline, lo vedo che torna indietro pedalando di gran carriera. Non sono cacciatori: la traccia passa di fianco a un tiro a segno, e pare che sia il momento dell’allenamento pratico. Meglio non rischiare di essere presi da una pallottola vagante. Jonas prende una deviazione asfaltata e sparisce rapidamente dal mio orizzonte.
Già che ci sono avviso il gruppetto che sta arrivando, e anche loro prendono una breve deviazione. All’arrivo, domenica pomeriggio, arrivo poco prima di Jonas: ci salutiamo un’ultima volta da amici.

Ecco con cosa è stata sostituita l’antica stazione in legno.
Cosa è andato storto?
Poche cose. Tra queste il fatto che ero partito con l’idea di sfruttare bene le doppie esposizioni, invece ne ho fatte due, di cui una mediocre e una decente. Pazienza.
No persone, no party
Una considerazione riguarda le persone. negli stessi giorni della Züri Escape stavo seguendo la Seven Serpents, e ammiravo le foto con i pastori, le auto balcaniche e le interazioni con i locals. Come dice Lael Wilcox nel documentario del giro intorno al mondo,
Fotograficamente, questa prospettiva è una costante nel mio lavoro, ma in realtà è abbastanza un classico. E’ affascinante documentare la corsa dal punto di vista delle persone esterne, che capitano lì in questo momento. Durante la VIA race abbiamo avuto momenti memorabili in tutta Italia; anche in altri lavori più formali è capitato che la foto la facesse una presenza locale.
Invece in Svizzera questo non è capitato quasi mai, per semplice mancanza di persone in giro: quindi la narrazione è globalmente più autoreferenziale, a parte alcune scene conviviali – ma comunque non proprio interattive.
Zecche, dimenticanze e altri colpi di fortuna
Una nota negativa è la zecca che ho trovato facendo la doccia domenica pomeriggio. Piccolo souvenir dalla Svizzera, per fortuna senza conseguenze. Grazie a Jennifer per aver documentato questo momento!

Dopo questa breve storia triste, una a lieto fine: quando ho beccato X e X sotto la pioggia, avevo messo anche una gopro per fare qualche clip per Christian, di CdubFilms. Solo che la Gopro non è nel mio workflow abituale, quindi ovviamente l’ho dimenticata appoggiata di fianco a un trattore. Nel tardo pomeriggio ho perso due ore per recuperarla, scegliendo il momento più tranquillo della gara.
Chiudiamo il reportage dallo Züri Escape con una storia positiva, un vero colpo di fortuna che ho scoperto a giochi fatti: quando ho fatto l’agguato a Renzo alla Lidl ho fatto una foto frontale, in cui il cestino recita “rescue me”. Me l’ha segnalato Dominik quando ho consegnato il lavoro: per la prossima volta, mi tocca fare un’infarinatura di svizzero-tedesco.
Note tecniche
Per quanto riguarda il materiale, avevo a disposizione un’auto e una ebike, che ho usato pochissimo ma è stata decisiva). Nel corredo ho portato il 40-150 2.8 usato pochissimo (meno di 200 foto su 4000), forse avrei potuto portare il 35-100 risparmiando un po’ di peso/ingombro. Invece uso con crescente piacere il 17 e il 45 della linea PRO, complice anche un problema al 12-40 (forse una botta) che manderò in assistenza appena possibile. La Om1II è comodissima, anche se quel mirino verde invisibile mi fa venire voglia di lanciarla nel fiume. la EMIII è altrettanto comoda a parte il tempo di accensione, vedi fiume di cui sopra. La macchina perfetta non esiste, ma si lavora comunque bene.
(Powered by Foto Cine Video Renata)
Chiudo lo Züri Escape con 7h di sonno in 2 notti, 550km in auto e 60 in bici, più chissà quanti a piedi (maledetta Svizzera con le sue strade vietate ai mezzi!), 4000 scatti totali e una selezione finale di circa 500; un po’ di nuovi amici e un evento raccontato come meglio potevamo insieme alla collega Jennifer e al resto di questa fantastica squadra.
Conclusione
Cosa mi porto a casa, a parte la paura di un’infezione da zecca (per fortuna no)?
Primo, una sicurezza in più: Dominik e Fabian mi hanno dato carta bianca, consegnandomi auto e ebike e dicendomi “fai quel che sai fare, ci vediamo domenica”. AH. Com’è buono lei. Però bene così, ora sono più consapevole di quello che posso fare, quindi grazie.
Secondo, una conferma piuttosto banale: essere in due essere pienamente efficie in auto è lo step successivo per migliorare notevolmente l’efficienza e la resa: in tutti i momenti in cui bisogna guardare il tracker, consultare maps, editare la selezione al volo, coordinarsi con il team o pensare alla logistica della sopravvivenza – cibo, acqua e benzina – sono momenti preziosi in cui ci si potrebbe già spostare o addirittura fotografare: e quindi il rapporto tra tempo e foto prodotte aumenterebbe. Annotazioni per migliorare, ma già lavorare in questo modo è un lusso raro.
Ora la testa va ai prossimi lavori, la VIA race ma ancora prima la Three Peaks Bike Race: sarò sul Finestre per 3 giorni e 3 notti, dal 10 al 12: se vuoi aggregarti, ci organizziamo per un bel workshop sul campo!

Workshop sul Finestre dal 10 al 12 luglio: scrivimi!