Se ti interessano queste riflessioni, abbiamo parlato di foto mature e immature (da Berengo Gardin a Galen Rowell), di verosimile e vero nello storytelling, di altre cose varie; e continueremo a parlarne.
L’insieme di tutte le biciclette è molto ampio e molto generale, mentre l’insieme di tutte le biciclette monocorona è più ristretto e più specifico; se aggiungiamo anche una caratteristica come “biciclette dotate di copertoni 2.1”, l’insieme si restringe ulteriormente.
Il procedimento è noto a chiunque abbia giocato a Indovina chi?, ed è nientepopodimeno che logica aristotelica (del concetto, per essere precisini). Grazie a lui sappiamo che esiste una proporzionalità inversa tra l’estensione di un dato insieme e la sua intensione, cioè tra il numero di elementi che rientrano in quel concetto e le caratteristiche di quel concetto. A che serve questo per parlare di “raccontare o descrivere”?
Più elementi, meno caratteristiche in comune; più caratteristiche in comune, meno elementi.
Fine del momento nerd.
Inizio del momento nerd #2
Dalla filosofia alla fotografia (con furore, per quanto possibile)
Quello che Aristotele non aveva previsto è che possiamo fare un parallelismo tra la sua logica del concetto e la lunghezza focale: se uso un tele, l’inquadratura è molto stretta, quindi probabilmente ci sono pochi elementi; potrebbe essere un ritratto o una composizione minimal; però probabilmente ci sarà ricchezza di dettagli, e quindi sarà una foto molto descrittiva.
La finiamo con queste storie?
Quasi. Al contrario, con una focale aperta ci saranno tanti elementi, ma poco che li accomuna. La conseguenza di tutto questo raptus filosofico è che, in una foto ampia, ci aspettiamo naturalmente che ci sia un senso – un filo conduttore, una storia – per raccontare il nesso tra questi elementi, o spiegarne la giustapposizione. Quindi sarà una foto più narrativa, perché mostra un’interazione o una situazione.
Facciamo alcuni esempi di come possiamo descrivere o raccontare sfruttando diverse lunghezze focali; prima alcune foto mie, poi di Allard – così alleggerisco la mia magra figura rispetto a questo autore classico. Immaginiamo di restringere l’inquadratura facendola diventare un ritratto, o magari anche una figura intera, tagliando via il resto: che senso avrebbero? Come minimo avrebbero un senso diverso; probabilmente non ne avrebbero nessuno.
Raccontare o descrivere secondo me, con ben poco furore
Ma vediamo nella pratica. Tutte le foto seguenti sono scattate a 12mm (equivalenti 24).
- 150 smiles 2024, Torino.

Quello che mi interessava qui era la contrapposizione tra il sentiero molto bucolico e il contesto urbano, proprio in mezzo a Torino. Quindi focale corta per includere i due aspetti.
2. Turin Hills, 2025

Questa foto è fatta a circa 40 metri dalla precedente, durante il recentissimo Turin Hills. Qui la giustapposizione è tra il relax di chi sta sulla panca e la fatica dei partecipanti. ma ovviamente anche il contesto urbano serve; l’ombrello aperto evidenzia il meteo non proprio ottimo di quella giornata, e la guglia della Mole stabilisce inequivocabilmente che siamo a Torino.
3. Piero, 2024

In questo ritratto contestualizzato di Piero, caro amico di famiglia, l’ambiente è tanto importante quanto il soggetto. La storia – che si articola in 5-6 foto – racconta il progetto di una nuova casa, lavorando all’antica (con carta penna e righello su planimetrie cartacee) in un ambiente familiare (forse fin troppo buio).
5. Via Race, da qualche parte in Umbria (forse), con 40 °C

L’esecuzione è imperfetta (ero limitato negli spostamenti e nei tempi), ma l’intenzione era accostare l’ultracyclist e l’operaio locale mentre si dissetano e prendono una breve pausa dal caldo atroce di quei giorni. Solo con un 12mm (equiv. 24) era possibile includere tutto il necessario, il che include anche l’insegna del bar.
6. Esempi opposti: Valmorel 2025, Turin hills 2025.
In questi tre esempi di ritratti con tele, il soggetto è inequivocabilmente uno; c’è dinamismo e c’è contesto, ma ha un valore ben diverso rispetto alle foto precedenti: nella prima foto, tutto ruota intorno all’occhio azzurro.
Nella seconda, Bob è il soggetto, le macchine e gli edifici sono un contorno funzionale ma secondario; nella terza, il sorriso di Veronica è il centro dell’immagine, che potrebbe essere scattata quasi ovunque; solo il cappello Chiru tradisce che si tratta di un evento ciclistico.
Raccontare o descrivere secondo William Albert Allard
Passiamo ai pezzi grossi. Tutte le foto sono tratte dal reportage sui cowboy Vanishing Breed, ma si trovano anche nella raccolta Portraits of America. Allard è un autore per me utilissimo, e anche molto prolifico.

“Stan”.
Se fosse solo un ritratto del cowboy, perderebbe tutto il gioco di colori tra rosso e turchese, il dinamismo delle linee di fuga e anche la ripetizione della posa (il barista in fondo, vestito di bianco, sembra disperato tanto quanto il soggetto). A quanto pare, Allard non fa foto “di qualcuno”, ma “dentro qualcuno”; è indicativo che per farlo preferisca allargare l’inquadratura invece di chiuderla.

Come racconta lo stesso Allard,
Questa immagine dei Buckaroos dell’Illinois attorno al fuoco da campo all’alba cattura perfettamente l’essenza del buckarooing. C’è così tanto spazio aperto, con un vasto cielo che si illumina lentamente oltre il fuoco. Una tenda solitaria. Due cani rannicchiati vicino ai giovani uomini. Uno dei buckaroos sta bevendo il caffè, un altro si sta allacciando gli stivali. In un certo senso, sembra un’immagine di un’epoca passata, forse il tempo di Frederick Remington o magari quello del mio pittore western preferito, Charlie Russell, che conosceva così bene il suo soggetto.
Se stringessimo sul fuoco e sulle persone a foto del campo al tramonto non racconterebbe più la vita dei cowboy a fine turno, ma solo un campeggio qualsiasi in un posto indefinito;

Se anche questo ritratto fosse ristretto, non potremmo capire la storia di quell’uomo, passata tra bovini e patriottismo in chissà quale contea del West. Certo, avremmo degli elementi come le mani rovinate e il cappello tipico, ma non avrebbe certo la stessa forza.
Tecnologia al servizio della narrazione
Tra l’altro, anche alcuni elementi tecnici rinforzano questo legame tra focale ampia/narrazione e focale stretta/descrizione (questo è il momento nerd #3, pardon!): lo sfocato è tanto minore quanto la focale è corta, quindi lo sfondo sarà più nitido in una foto scattata a 24mm rispetto allo stesso sfondo in una foto a 100mm (a parità di altri fattori, s’intende). Quindi anche la relazione soggetto-sfondo è più importante, non c’è nulla da fare.

Non a caso, molti grandi autori del passato usavano focali piuttosto ampie, come il 35mm o anche il 28mm, preferendo raccontare situazioni con una composizione impeccabile piuttosto che sfruttando “lo sfocatone” per isolare soggetti. In fondo, noi di solito vediamo persone che fanno cose da qualche parte, non fluttuanti nel nulla. (ma qui è gusto personale: i ritratti posati non mi dicono molto). Raccontare cose in una posa da ritratto è più difficile, proprio perché manca la relazione con l’ambiente, abbiamo meno elementi con cui giocare.
→ Speaking of 28mm: questo video su Francesco Cito è molto interessante:
Dove c’è regola c’è eccezione (molte eccezioni)
Ovviamente, tutto questo è da prendere con le pinze: se c’è una cosa che filosofia e fotografia hanno in comune, è che ci sono tonnellate di eccezioni. Quello che abbiamo fatto qui è un discorso molto generalista. Possiamo usare una focale ampia magari per un paesaggio, o per un semplice accostamento di colori, e va benissimo così. E al contrario possiamo giustapporre elementi o descrivere situazioni usando focali lunghe, perché le possibilità sono infinite (però quelle che funzionano sono molte meno).

Oppure devo usare focali molto corte perché l’ambiente è minuscolo, come nel caso del treno merci. Qui si passa al tema che abbiamo già affrontato qualche mese fa, il “far di necessità virtù” cioè giocare con i vincoli (di attrezzatura, di spazi o chissà quali altri) per farli diventare strumenti narrativi.

Infine, non è che quella tra raccontare e descrivere sia una dicotomia: ci sono, anche qui, tante combinazioni possibili, e infinite sfumature. Quindi, dopo queste eccezioni e precauzioni, che senso ha tutto questo peregrinare filosofico-tecnico?
Forse nessuno, ma è divertente combinare discipline diverse per vedere che succede. O forse è uno spunto per allenarsi: proviamo a includere elementi che “parlano” in qualche modo, oppure a escluderli per ottenere un’immagine meno narrativa e più estetica. Poi vediamo che succede.
Buone pedalate e buona luce!
p.s. Questa è la prima di una serie di riflessioni filo-fotografiche. Parleremo (prima o poi) di empirismo e ISO, di tempi e distensione dell’animo, e di tante altre cose.